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Il baglio e la torre d’A Braciara

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Fino a poco tempo fa, la torre d’A Braciara era una delle più limpide attestazioni di quella felice stagione che provocò il taglio del bosco millenario e la realizzazione di fondi agricoli.

La torre ed il baglio d’A Braciara si trovano alla distanza di alcuni chilometri ad oriente da Partinico e si raggiunge percorrendo la strada provinciale per Montelepre e immettendosi in una strada laterale all’altezza della casetta della catena adibita al pagamento di tasse. 

La concessione enfiteutica del fondo, esteso 12 salme, in cui, in seguito, venne costruita la torre, risale al 1510. Beneficiario dell’atto fu Nicolò Antonio Maniscalco che, oltre ad un esteso vigneto, realizzò un baglio con torre e chiesa.

Tanti, affidandosi all’infelice segnaletica stradale e a un’illetterata consuetudine, ritengono che la corretta denominazione della torre sia Albachiara. In realtà, da sempre, la località è denominata “A Braciara”, cioè il luogo dove si accendevano le carbonaie e si produceva il carbone. Nella dizione dei nostri antichi contadini, A Braciara, non dà luogo a fraintendimenti.

La torre d’A Braciara si erge imponente e maestosa al centro di un baglio che occupa una superficie di circa 2.300 mq circondata da muri e dotata di pozzo, abitazioni, magazzini e chiesa.

Il baglio oggi ha due ingressi: quello originario, ad est, costituito da un portale ad arco ed a volta sormontato da in piccolo solaio e da una piccionaia; il secondo, sul lato ovest, è stato recentemente realizzato abbattendo parte del muro di cinta e allocandovi un enorme cancello in ferro per consentire l’accesso di mezzi pesanti.

La torre ha una pianta pressoché quadrata, i suoi lati misurano rispettivamente m 8,65 e m 8,85, mentre è alta circa 15 m. Presenta tre piani fuori terra e un terrazzo fortificato, in passato, praticabile.

La torre è realizzata con muri portanti che hanno agli angoli i tipici costoloni cantonali realizzati con blocchi di arenaria travertinoide squadrati: le murature che si legano ai costoloni sono composte da pietrame informe e sono rivestite da un sottile strato d’intonaco grezzo.

Sul prospetto principale, che è quello che guarda a sud, si aprono due ingressi sovrapposti che sono sovrastati perpendicolarmente dal fregio nobiliare dei Villabianca, da due finestre, da due feritoie e dalla caditoia: il primo ingresso si trova al livello del piano di calpestio, al secondo, posto al primo piano, si accede per mezzo di un piccolo balcone in pietra, sostenuto da mensoloni, ed è raggiungibile da una scala esterna, larga 1 m, e composta da pietrame informe contenuto dai classici blocchi di arenaria travertinoide. La particolare sagoma delle mensole che sostengono il balcone costituisce la parte residua dell’originaria struttura di accesso.

Lo stesso Marchese di Villabianca, proprietario del monumento nel Settecento, ricorda che l’accesso originale alla torre avveniva per mezzo di un ponte levatoio delle cui caratteristiche nulla sappiamo, anche se intuitivamente si può immaginare che fosse strutturato in un modo da rendere quasi impossibile l’accesso alla torre in caso di pericolo con una scala posta a distanza e con una pedana mobile che collegava la scala al punto di accesso.

Sullo stesso prospetto meridionale della torre, al di sopra della finestra del secondo livello, incorniciata pure da massi di tufo, è collocato un blocco di marmo ovale su cui è riprodotto in bassorilievo lo stemma gentilizio dei Villabianca, di stile tardo barocco, con al centro un leone rampante che sorregge fra le zampe anteriori una bandiera sventolante. All’interno dello stemma figurano alcuni riquadri trapezoidali da cui risaltano alternativamente un leone e un fregio sormontato da una corona.

Della chiesa, si ha notizia dalle relazioni delle visite pastorali: quella più antica, venne effettuata apud salam Partinici il 6 novembre 1580 da mons. Bernardo Gasco. Da essa si apprende che la cappella era intitolata a Santa Maria del Rosario.

Nel corso del XVII, la tenuta dell’A Braciara e la torre, appartenute ai Maniscalco, passarono a Benedetto Emanuele, marchese di Villabianca, e, poi, nel 1740, al nipote Francesco Maria Emanuele e Gaetani, che si innamorò del luogo e lo implementò con l’acquisto dei feudi Ramotta, Magna, Cutò e Garofalo, fino a raggiungere una estensione di 200 salme. Dopo aver realizzato la consistente tenuta, il Villabianca ristrutturò il complesso edilizio e lo trasformò nella sua nobile residenza.

Diventato il maggiore proprietario dell’area del Partinicese e acquisito, nel 1780, il titolo di conte di Belforte, Francesco Maria Emanuele e Gaetani, fu senatore del Regno e commissario generale della sanità in Partinico. Il nome della Contea, Belforte, fu ispirato proprio dalla torre A Braciara che il marchese considerava il più bel forte del territorio.

(Cfr Leonardo D’Asaro, Partinico delle origini alla fine dell’Ottocento, Partinico 2018)